SERVONO STRATEGIE E STRUMENTI PER UN NUOVO PROTAGONISMO
DELLA REGIONE CAMPANIA IN ITALIA E PER IL MEDITERRANEO
LEGAMBIENTE DENUNCIA L’IMMOBILISMO E L’INEFFICIENZA DELLE AREE PROTETTE DELLA CAMPANIA
I RAPPRESENTANTI DI LEGAMBIENTE PRESENTI NEI CONSIGLI DIRETTIVI DEI PARCHI DARANNO VITA AD ULTERIORI AZIONI DI PROTESTA
I Parchi regionali della Campania a 14 anni dalle legge, dopo 4 anni dall’istituzioni degli enti gestori, a 2 anni dalla nomina dei presidenti, hanno bisogno di una nuova fase. Le aree protette campane necessitano di un rinnovato protagonismo degli enti e dei soggetti locali interessati, ma soprattutto serve che la politica, fino ad oggi inesistente, investa in questo importante progetto di conservazione e valorizzazione della biodiversità.
I Parchi della Campania, attendono oramai da troppo tempo di contribuire alla realizzazione del sistema nazionale delle aree protette, attraverso lo sviluppo della Rete ecologica nazionale e dei progetti di sistema quali APE – Appennino Parco d’Europa, Itaca - la rete delle aree marine delle isole minori, e CIP – Coste italiane protette.
Le nomine dei presidenti e dei consigli direttivi degli enti parco, ottenuti con grandi difficoltà, sono insufficienti ad affrontare la sfida di conservazione della biodiversità in una realtà fortemente antropizzata come quella campana, se le aree protette non sono supportate da un progetto politico e culturale moderno e da investimenti in risorse umane e finanziare adeguate.
Alle aree protette campane serve il supporto di personale regionale qualificato e competente, con una pianta organica dedicata al settore adeguata alle esigenze. Una Regione con un’organico di migliaia di unità, con tante strutture ed enti strumentali stracolmi di personale qualificato, talvolta in dismissione, può procedere a reperire personale motivato anche attraverso distacchi e mobilità. Le inefficienze causate dalla politica in questo, come in altri settori ambientali, sono oramai insopportabili ed i ritardi nella nomina dei Direttori dei parchi sono un caso emblematico di cattiva amministrazione ed arroganza politica.
In Campania si tratta di passare dalle parole ai fatti, soprattutto per la Regione, in un disegno coerente e partecipato utile per sgomberare il campo dalle tante polemiche e dubbi che a ragione vengono oggi espressi. Sono necessarie scelte strategie che la regione Campania deve attuare per recuperare anni di attesa e di aspettative di tanti cittadini, soprattutto giovani, ed intere comunità, che guardano ai parchi come una grande occasioni di sviluppo locale sostenibile incentrato su una forte azione di conservazione della natura.
Non è più possibile tollerare la scarsa attenzione che presta la Regione nell’organizzazione delle aree protette, inserite nella Rete Ecologica, e strutturate intorno ai Siti di Interesse Comunitario e alle Zone di Protezione Speciale, frutto dell’applicazione delle Direttive Comunitarie Habitat ed Uccelli e parte importante della rete Natura 2000, la strategia pan-europea per la conservazione della biodiversità. Si registra una chiara contraddizione tra le aspettative che si sono palesate nella nostra Regione, che ha un territorio protetto quasi pari al 30% della sua superficie totale, e la non adeguata strutturazione degli enti di gestione delle aree protette.
Gli Enti parco non devono essere enti burocratici, bensì enti snelli, in grado di riportare, rapportandole alle direttive della legge istitutiva, sul particolare territorio in cui insistono, le strategie regionali espresse dall’Assessorato all’Ambiente nella sua interazione con le varie tematiche che attengono ai parchi (agricoltura, urbanistica, turismo prioritariamente, tematiche in capo agli altri Assessori che condividono con il Presidente della G.R. la nomina dei Presidenti degli Enti Parco).
In tal senso, opportunamente la stessa legge 33/93 prevede che il personale degli Enti Parco sia esclusivamente distaccato dalla Regione, senza aggravio di spesa per la stessa e enuclea solo per il Direttore una diversa modalità di designazione.
A queste considerazioni si aggiungono quelle ancor più gravi relative alla spesa dei fondi POR che ha consentito di stanziare sui territori protetti notevoli finanziamenti, senza garantire per l’assenza di Enti adeguatamente strutturati, validi meccanismi di controllo dell’efficacia della spesa. Inoltre, destano dubbi i bandi addirittura emanati in questi giorni da alcuni Parchi, laddove le aggiudicazione delle gare dovevano scadere tassativamente entro il 31.12.2006, così come va tenuto in debito conto l’allarme derivante per abusi fatti in aree SIC ed i sequestri di cantieri da parte del Corpo Forestale dello Stato appaltati addirittura da Parchi anche Nazionali.
E, con riferimento a questi ultimi, Legambiente contesta e lamenta che sia il Parco Nazionale del Vesuvio che quello del Cilento Vallo di Diano sono tuttora commissariati. Eppure i Presidenti dei Parchi Regionali furono nominati all’inizio del 2005 proprio perché la Commissione Europea stabilì che non era possibile procedere alla gestione dei Fondi POR nelle aree protette da parte di Commissari!
A due anni dalla nomina dei Presidenti degli Enti Parco e Riserve Regionali, ancora non tutti gli Enti hanno completato la nomina degli altri organi, l’Ente di gestione delle Riserve “Foce Sele Tanagro-Monti Eremita-Marzano” non ha ancora avuto la designazione del Direttivo, la Riserva di Foce Volturno-Garigliano – Costa di Licola non ha avuto ancora la nomina del Collegio dei Revisori dei Conti e quasi tutti i parchi hanno sofferto le dimissioni dei Responsabili Amministrativi.
Nonostante le reiterate critiche alla Del. G.R. 1217/05 non è stato possibile ottenerne una modifica sostanziale tesa alla strutturazione degli Enti e a creare i presupposti adeguati per l’attività di conservazione della natura e per l’esercizio delle funzioni di tutela, di vigilanza delle aree protette, in capo agli Enti Parco che hanno competenze vaste e tutte cogenti, sovraordinate rispetto a quelle degli Enti Locali. Non va dimenticato che i Parchi hanno competenza per il rilascio di pareri urbanistici, per il controllo e il sanzionamento degli abusi, per la vigilanza ed il controllo, per la costituzione in giudizio contro i ricorsi, ecc. Non a caso, con riguardo alle piante organiche dei Parchi Nazionali, è facile verificare che in capo ad essi ci sono Piante Organiche strutturate, con il CTA (coordinamento territoriale ambientale) del Corpo Forestale dello Stato, proprio per la vigilanza ed il controllo dei vincoli e divieti, oltre alle unità operative, localizzate in uffici adeguati che non possono essere le poche stanze messe a disposizione in parti di edifici pubblici dei comuni.
Solo affrontando in maniera adeguata la strutturazione degli Enti sarà possibile poi procedere ad affrontare i tanti problemi connessi alla strategia di tutela e sviluppo. Grave e preoccupante è il rischio che si sta correndo nella programmazione del POR 2007-2013 che attribuisce un ruolo significativo ai Parchi, intesi come enti intermedi, soggetti di sovvenzione globale e stazione appaltante sia per i fondi FERS che FEARS.
Dalla Rete Ecologica, al Progetto APE (Appennino Parco d’Europa), alla Rete dei Parchi del Mediterraneo, tante sono le strategie di sistema che vedono nei parchi un volano per lo sviluppo sostenibile, per bilanciare le opportunità di crescita tra la costa e le zone interne, per qualificare l’agricoltura e il turismo con riguardo alla ruralità e alla valorizzazione del patrimonio di beni culturali e naturali. Legambiente ha inteso interagire con le strategie della Regione Campania, ritenendole coerenti con quelle della propria missione. Ma oggi è necessario assumersi la responsabilità di prendere le distanze da un sistema che non corrisponde nei fatti a queste aspettative, laddove si registra uno scollamento tra le scelte strategiche pur condivisibili e la reale consistenza degli Enti Parco e Riserve che sono un gigante senza gambe, spesso assimilato ai GAL o a un Sistema di Sviluppo Locale o a una Comunità Montana, prescindendo dalla loro precipua funzione.
Legambiente ritiene che occorre finalmente ristabilire la netta linea di demarcazione tra le responsabilità politiche e quelle amministrativo-gestionali, soprattutto in un momento in cui l’opinione pubblica matura una diffusa critica e insofferenza verso la “cosa pubblica” sia politica che amministrativa, chiedendo scelte competenti ed efficienti, che privilegino la meritocrazia per soddisfare strategie di sviluppo sostenibile e durevole.
Tutto ciò anche facendo opportuno tesoro della lunga e gravissima esperienza commissariale della gestione del ciclo integrato dei rifiuti, la quale ha dimostrato che occorre saper in tempo individuare le criticità che si manifestano quando si tralascia di risolvere i nodi strutturali, agendo solo con provvedimenti tampone, che rischiano di autoperpretarsi. Le fasi transitorie ed emergenziali devono essere giustamente a tempo.
D’altro canto, la sostituzione protratta nel tempo del regime ordinario di amministrazione delle aree protette si configura come del tutto illegittima se non addirittura anticostituzionale, come affermato –sia pure con riferimento ad altro settore della tutela ambientale – da più di una decisione giurisprudenziale, risolvendosi in sostanza nell’estromissione degli organi previsti dalla legge dalla gestione concreta dei Parchi. Com’è noto, tra l’altro, la mancanza di ogni certezza sui tempi dell’avvio della gestione ordinaria contribuisce ad accrescere l’illegittimità della situazione.