La morte di un Parco bisogna annunciarla pubblicamente, non nel chiuso di una stanza.
Nelle prossime settimane verranno vanificati anni di battaglie contro le illegalità e di lotta per l’istituzione di uno dei più piccoli parchi d’Italia, quello del Vesuvio.
Nato come una sfida dello Stato allo strapotere delle ecomafie, che fino agli inizi degli anni 90 avevano proliferato gestendo illegalmente discariche, cave, ciclo del cemento, il Parco Nazionale del Vesuvio esala l’ultimo respiro, sotto i colpi di quello stesso politico che, raccogliendo le istanze di quella società sana vesuviana, ne aveva condiviso la nascita.
Ma, anche in tal malaugurato caso, resterebbe sempre l’amarezza di venti anni di lotta per affrancare il Vesuvio dalle discariche che hanno ingoiato il peggio dei rifiuti regionali ed extraregionali, anni di lotta approdati alla vittoria di rendere il Vesuvio un Parco Nazionale che radicasse nel territorio una nuova modalità di governo del territorio, finalmente attento al ricco patrimonio di biodiversità, naturale e rurale.
E l’amarezza di aver avviato con i cittadini e gli imprenditori locali, grazie all’Istituzione del Parco, un processo di trasformazione culturale, passato attraverso la lotta la camorra, con la confisca dei beni, a partire dal Palazzo Mediceo di Ottaviano, sottratto a Cutolo, per divenire sede del Parco, fino alla dotazione di un Piano del Parco, che finalmente ha ridotto il carico pressorio dell’area, e ancora fino all’impegno di utilizzare i fondi comunitari per delineare forme di sviluppo economico attente a coniugare la tutela con al valorizzazione delle attività rurali e turistiche connesse al ricco patrimonio naturale e culturale dell’area.
Queste battaglie sono la storia degli ultimi venti anni che merita rispetto e attenzione da chi ha a cuore rendere la Campania moderna e libera da scorciatoie che penalizzano il suo territorio e le sue valenze naturali e culturali.
L’apertura della discarica di Terzigno uccide i principi di legalità, di uguaglianza sociale, di giustizia, ma soprattutto stravolge i principi della conservazione della natura, dogmi fondanti di un’area naturale protetta, fa venir meno quel rapporto di fiducia e di speranza creatisi tra l’istituzione Parco e le comunità locali su un’idea innovativa di sviluppo.
Come si potrà coniugare e spiegare ai cittadini vesuviani ma anche all’Unione Europea il transito di circa 200 camion di rifiuti che sverseranno oltre 1000 tonnellate al giorno in un area SIC (sito di importanza comunitaria), una ZPS (zona di protezione speciale)?
Che tipo di educazione ambientale dovrà continuare ad essere discussa nelle scuole dei Comuni del Vesuvio?
Come si potrà far capire ad un contadino che ha realizzato un muretto a secco senza autorizzazione che ha commesso un reato mentre lo Stato per un’ opera ben più impattante non dovrà rispondere di niente?
E’ perché si riapre proprio oggi il sito della SARI, dopo tanti ricorsi vinti (Tar-Consiglio di stato) e dopo che tutti i comuni del parco e delle aree contigue hanno avviato finalmente la raccolta differenziata?
La presenza delle cave è la testimonianza di come la criminalità organizzata e le istituzioni locali incapaci per non dire compiacenti hanno gestito un territorio già martoriato dall’abusivismo edilizio. Oggi , con la decisione di aprire Terzigno , indirettamente si dà un premio a quelle stesse persone che hanno lucrato, ancorché illegalmente, e si punisce chi aveva scommesso in una diversa idea di sviluppo territoriale comprando terreni ed impiantando vitigni di Lacryma Cristi.
Non si può tollerare che all’interno di un’area protetta, con gli investimenti in atto da parte dello Stato Italiano e dalla Comunità Europea, si possa di colpo cancellare il principio della conservazione della natura e dello sviluppo legato ad esso.
Se proprio si deve continuare a percorrere questa strada scellerata che calpesta i diritti dei cittadini lo si faccia in maniera più aperta e semplice.
Invece di confezionare sapienti studi scientifici e progetti mirabolanti che sanciscono l’assoluta compatibilità della discarica in un parco, pareri di professori universitari e ricercatori che avallano la presenza di rifiuti e della movimentazione di tanti automezzi in un’area SIC E ZPS, si faccia uno sforzo finale.
Il Governo abbia il coraggio di cancellare il Parco Nazionale del Vesuvio dalla lista delle aree protette italiane. Almeno verrà salvato il principio che in un’area protetta si fa la conservazione della natura, la salvaguardia della biodiversità, e non si programma e si calpesta la sua distruzione.
Così facendo potremo ancora continuare a raccontare alle future generazioni che un’area protetta in Italia, anche se densamente popolata, nasce per tutelare il patrimonio naturale del paese .
Nelle prossime settimane verranno vanificati anni di battaglie contro le illegalità e di lotta per l’istituzione di uno dei più piccoli parchi d’Italia, quello del Vesuvio.
Nato come una sfida dello Stato allo strapotere delle ecomafie, che fino agli inizi degli anni 90 avevano proliferato gestendo illegalmente discariche, cave, ciclo del cemento, il Parco Nazionale del Vesuvio esala l’ultimo respiro, sotto i colpi di quello stesso politico che, raccogliendo le istanze di quella società sana vesuviana, ne aveva condiviso la nascita.
Ma, anche in tal malaugurato caso, resterebbe sempre l’amarezza di venti anni di lotta per affrancare il Vesuvio dalle discariche che hanno ingoiato il peggio dei rifiuti regionali ed extraregionali, anni di lotta approdati alla vittoria di rendere il Vesuvio un Parco Nazionale che radicasse nel territorio una nuova modalità di governo del territorio, finalmente attento al ricco patrimonio di biodiversità, naturale e rurale.
E l’amarezza di aver avviato con i cittadini e gli imprenditori locali, grazie all’Istituzione del Parco, un processo di trasformazione culturale, passato attraverso la lotta la camorra, con la confisca dei beni, a partire dal Palazzo Mediceo di Ottaviano, sottratto a Cutolo, per divenire sede del Parco, fino alla dotazione di un Piano del Parco, che finalmente ha ridotto il carico pressorio dell’area, e ancora fino all’impegno di utilizzare i fondi comunitari per delineare forme di sviluppo economico attente a coniugare la tutela con al valorizzazione delle attività rurali e turistiche connesse al ricco patrimonio naturale e culturale dell’area.
Queste battaglie sono la storia degli ultimi venti anni che merita rispetto e attenzione da chi ha a cuore rendere la Campania moderna e libera da scorciatoie che penalizzano il suo territorio e le sue valenze naturali e culturali.
L’apertura della discarica di Terzigno uccide i principi di legalità, di uguaglianza sociale, di giustizia, ma soprattutto stravolge i principi della conservazione della natura, dogmi fondanti di un’area naturale protetta, fa venir meno quel rapporto di fiducia e di speranza creatisi tra l’istituzione Parco e le comunità locali su un’idea innovativa di sviluppo.
Come si potrà coniugare e spiegare ai cittadini vesuviani ma anche all’Unione Europea il transito di circa 200 camion di rifiuti che sverseranno oltre 1000 tonnellate al giorno in un area SIC (sito di importanza comunitaria), una ZPS (zona di protezione speciale)?
Che tipo di educazione ambientale dovrà continuare ad essere discussa nelle scuole dei Comuni del Vesuvio?
Come si potrà far capire ad un contadino che ha realizzato un muretto a secco senza autorizzazione che ha commesso un reato mentre lo Stato per un’ opera ben più impattante non dovrà rispondere di niente?
E’ perché si riapre proprio oggi il sito della SARI, dopo tanti ricorsi vinti (Tar-Consiglio di stato) e dopo che tutti i comuni del parco e delle aree contigue hanno avviato finalmente la raccolta differenziata?
La presenza delle cave è la testimonianza di come la criminalità organizzata e le istituzioni locali incapaci per non dire compiacenti hanno gestito un territorio già martoriato dall’abusivismo edilizio. Oggi , con la decisione di aprire Terzigno , indirettamente si dà un premio a quelle stesse persone che hanno lucrato, ancorché illegalmente, e si punisce chi aveva scommesso in una diversa idea di sviluppo territoriale comprando terreni ed impiantando vitigni di Lacryma Cristi.
Non si può tollerare che all’interno di un’area protetta, con gli investimenti in atto da parte dello Stato Italiano e dalla Comunità Europea, si possa di colpo cancellare il principio della conservazione della natura e dello sviluppo legato ad esso.
Se proprio si deve continuare a percorrere questa strada scellerata che calpesta i diritti dei cittadini lo si faccia in maniera più aperta e semplice.
Invece di confezionare sapienti studi scientifici e progetti mirabolanti che sanciscono l’assoluta compatibilità della discarica in un parco, pareri di professori universitari e ricercatori che avallano la presenza di rifiuti e della movimentazione di tanti automezzi in un’area SIC E ZPS, si faccia uno sforzo finale.
Il Governo abbia il coraggio di cancellare il Parco Nazionale del Vesuvio dalla lista delle aree protette italiane. Almeno verrà salvato il principio che in un’area protetta si fa la conservazione della natura, la salvaguardia della biodiversità, e non si programma e si calpesta la sua distruzione.
Così facendo potremo ancora continuare a raccontare alle future generazioni che un’area protetta in Italia, anche se densamente popolata, nasce per tutelare il patrimonio naturale del paese .
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